Il rock è viscerale e umorale, in alcuni casi attinge a quella fonte di vita eterna che nasce lì, tra lo stomaco, i muscoli e l’intestino, dove le parole sono importanti, ma il suono di una chitarra distorta o di un crash picchiano duro per esserlo di più, a volte.
Picchiare duro che credo nasca da una irrefrenabile urgenza di comunicazione.
Devi dire qualcosa, devi dirlo presto, devi dirlo forte.
E a volte l’unico modo che hai per dirlo è urlare dentro a un microfono, mitragliare su un rullante e due tom, farlo passare dalle dita e uscire come un grido da un amplificatore.
Ecco perché alcune canzoni hanno un significato intrinseco che va oltre la capacità di utilizzo stesso degli strumenti e il significato delle parole.
Sono quelle canzoni che non importa cosa dicono, né come lo dicono.
Sono lì, alle fondamenta del rock, e a volte hanno contribuito a crearlo.
Altre canzoni, invece, hanno reso il messaggio così CHIARO, sono diventati slogan che ancora oggi, forse a nostra insaputa, ci portiamo dietro, e parlano di quel modo di vivere.
Perché rocker puoi esserlo davanti a 100.000 persone, ma anche davanti allo specchio.
1979.
Neil Young è qui per restarci.
I Buffalo Springfield, la scelta della carriera solista, After the Gold Rush, Harvest sono già nel suo passato.
Mica cazzi.
Ma è nel 1979 che esce Rust Never Sleeps.
Già il titolo.
La ruggine non dorme mai.
Il tempo è inesorabile e tutto è destinato ad essere corrotto e sparire.
Siamo alla fine di un decennio di rock importante, per molti versi, è IL decennio del rock.
La musica sta cambiando, il punk e la new wave sono le naturali evoluzioni musicali di un mondo che sta diventando sempre più alienato, bruciato dagli eccessi e dalla disillusione.
E Neil ti dice che il rock and roll ha comunque messo radici, e da qui non si scrosta più.
La prima volta che senti la voce di Neil Young ti togli le scarpe e inizi a girare scalzo per casa. Rallenti anche il respiro, perché hai paura di poterla rompere. Sembra così delicata. Così SOTTILE.
Ma emana una forza che non appartiene a questa terra.
Carisma, lo chiamano.
In poche frasi, regala al mondo un compendio di quello che è la filosofia del rock.
Altri artisti, una ventina d’anni dopo, su questi concetti, più altri presi in prestito da un altro ragazzotto dell’epoca, che vive più a sud, vicino ad Asbury Park, ci faranno una carriera di tutto rispetto.
Il Re della seconda strofa è QUEL Re, ovviamente.
Elvis è morto da poco, ma quello che ha portato in dote non andrà perduto, sembra dirci Neil.
Il rock non dimentica. Muta forma, cambia sostanza, ingrassa, dimagrisce.
In un circolo che si autoalimenta, si nutre di tutto, distrugge per creare nuovamente.
Ma non dimentica.
A volte ti sputa in faccia, altre volte ti accarezza.
Ma non morirà mai.
E che la sua eredità sia presente nei Sex Pistols o nei Joy Division, nei National o nei Guns n’ Roses, alla fine ha poca importanza.
Il rock ha solo figli bastardi.
Ognuno con la sua storia, ognuno con una madre diversa, ma il fuoco che guida ognuno è lo stesso per tutti.
Irrequieti figli della strada londinese e medio borghesi studenti della west coast.
Sbandati che popolano le strade di villaggi di provincia e figli d’arte baciati dalla fortuna.
Devi dire qualcosa, devi dirlo presto, devi dirlo forte.
Il rock è tutto qui.
Neil lo canta, cullato da acustica e armonica prima, scosso nelle viscere dal distorto più gonfio della storia del rock dopo, alla fine dell’album.
E’ meglio bruciare in fretta che dissolversi lentamente.
Uno di questi figli bastardi scriverà questa frase su un foglio, nel 1994.
Uno dei più dotati, in guerra con la dicotomia tra quello che si era (e che si è diventati) e quello che il mondo si aspetta da te.
Perché a volte il messaggio che urli è così potente che sfugge al tuo controllo, arriva così lontano che il vento ne distorce il significato.
Lo lascerà scritto, prima di spararsi in bocca.
Già, il rock non morirà mai.
I suoi figli ogni tanto sì.
E allora è meglio bruciare in fretta che arrugginire.
Perché la ruggine non dorme mai.
My My, Hey Hey
