Ogni tanto, quando non soffro abbastanza e la mancanza di dolore diventa intollerabile, spulcio su internet le vecchie classifiche degli album più venduti in Italia in un dato anno.
Nel 1984 Vasco la fa da padrone, seguito dalla Nannini, De Gregori e Venditti. Una raccolta di David Bowie è al trentesimo posto, mentre lo speciale Sanremo è all’undicesimo, gli Squallor (87) sono davanti ad una raccolta dei Rolling Stones (97). I Ricchi e Poveri sono sedicesimi, Guccini solo ottantesimo.
Tutto questo normalmente ripristina il mio livello di malessere-base ad una quota accettabile che potrei definire “non bestemmio nemmeno perché farlo mi rilassa, ed io godo ad essere teso e a stare male”, il che oggi non è di per sé negativo, a maggior ragione dovendo affrontare la poesia decadente di Federico Fiumani e dei suoi Diaframma.
L’album Siberia esce nel 1984, ed in quella classifica lì non c’è.
Nei primi 100 dischi più venduti nel 1984, uno degli album più influenti nella storia della musica italiana, non c’è.
Il fenomeno non è certo inspiegabile, considerando quanto emerge dalla classifica sui gusti del popolo italiano, ma anche tenendo presente che i Diaframma, così come i cuginetti Litfiba, a metà anni ‘80 affrontano da differenti angolazioni il post-punk/dark-wave in salsa italica con quasi un quinquennio di ritardo rispetto al panorama musicale mondiale, dove i Joy Division, sono già morti e sepolti, purtroppo sul serio, e il synth-pop inizia a farla da padrone, assieme all’ottimismo di un decennio bastardo.
Nel 1984, le reti Fininvest hanno già sfondato il monopolio di mamma Rai, e se dall’altra parte del mondo Ronald Reagan si avvia alla fine del suo primo, e purtroppo non ultimo, mandato, i prodromi del liberismo sfrenato si fanno evidenti anche qui da noi, attraverso l’avvento del cavaliere dell’apocalisse, con scosciate super poppute da Drive-in e risate finte come le esibizioni in playback al Festivalbar. Il clima da guerra fredda resiste, soprattutto nei film, a dire il vero, ma è ormai evidente chi vincerà battaglia, esportando MacDonald e Rocky Balboa.
Ecco perché è ancora più romantico, pensandoci a posteriori, questo totale anacronismo della scena musicale fiorentina di quel periodo, ancora attardata sul disagio e sulla ricerca di un senso che la televisione ha già definito dover essere proprio quel nuovo modello di auto. I Diaframma sono i veri alfieri della scena, anche più dei Litfiba, che solo negli anni seguenti diventeranno il punto di riferimento per la musica post-punk prima, e per il rock mainstream poi.
La prima traccia dell’album è omonima al nome del disco, ed è subito un capolavoro.
Siberia è gelida come il suo nome, e come il suo nome inizia fredda, limpida ma asettica come una mattinata glaciale.
Bastano pochi istanti al riff di chitarra di Fiumani per diventare storia, mentre ogni singola nota del basso trascina inesorabilmente fuori, al freddo, sotto un cielo plumbeo e una prateria desolata e nevosa.
E’ la neve dell’anima, quella descritta da Fiumani e cantata in modo magistrale da Miro Sassolini.
Il freddo dentro non ti permette nemmeno più di distinguere con precisione la divisione tra cielo e terra, tra ciò che è terreno, reale, e un potenziale specchio dell’anima, posato lì a mostrare le speranze residue. E’ un canto di solitudine e delusione. Anche un possibile giorno di sole, visto come la possibilità di sfuggire a questa morsa, è guardato con diffidenza, perché il primo istinto è sempre quello di rapire il freddo, e farsi rapire a propria volta, quasi il ghiaccio fosse uno scudo sull’anima a proteggere ed isolare dal mondo esterno.
Musicalmente la connessione con i Joy Division è così palese da risultare quasi smaccata, ma, considerando il poco tempo che l’universo ha avuto a disposizione per godere della musica degli inglesi, è da considerarsi un omaggio più che positivo, anche per il livello tecnico e stilistico della band fiorentina.
Il distacco con Ian Curtis e i suoi è invece particolarmente marcato nei testi.
Pur partendo da una base simile di disagio e vuoto emozionale, le liriche di Fiumani lasciano comunque uno spiraglio di luce, come quel fuoco vivo sotto la neve, da raggiungere solo riuscendo a percorrere quella strada ancora non evidente, ma che è pur sempre esistente, almeno come speranza, e della quale siamo ancora alla ricerca.
La chitarra di Fiumani si fa liquida, come acqua che sommerge, dissetando e annegando ogni emozione allo stesso tempo, e Miro continua il proprio canto funebre, voce ideale per questa vetta della musica italiana.
Ho paura, sembra dire il cantante, interpretando il testo di Fiumani, quando sono così distaccato e privo di emozioni. Paura di non poter tornare indietro, di rimanere intrappolato da questo freddo bastardo e così confortevole, ma non credere che non ci abbia provato, ad incendiarmi di nuovo l’anima, a cercare di provare di nuovo qualcosa. Ma oltre il muro che ho creato, tutte le volte che ho cercato di scavalcarlo, allo stesso modo spaventato da quello che potevo trovare, ho visto solo ghiaccio e silenzio.
Inaspettata, entra una tromba, quasi a sottolineare la necessità di proseguire questa continua ricerca, di rompere questo muro di ghiaccio, nonostante le delusioni, nonostante la fatica, nonostante, soprattutto, la paura.
Ed eccola, l’ultima strofa, vetta memorabile del brano, del lirismo di Fiumani e della musica italiana tutta.
Ma questa notte forse sarà diverso, ti aspetterò, nascondendo come sempre le mie emozioni, in attesa di quel momento diverso da tutti gli altri, per cercare di sfuggire a questo freddo e ritrovare il calore che so essere presente laggiù, dopo aver colmato la distanza che mi separa dalla mia anima, come se solo così fosse possibile, veramente, aprirsi al calore degli altri.
Dura poco, Siberia, in rapporto alle emozioni che ti lascia.
E che così tante emozioni siano racchiuse in un brano sulla mancanza delle stesse, se ci pensi a modo, non è nemmeno così strano.
Sarà la chitarra. Sarà la voce.
Sarà che ognuno ha la propria Siberia con cui fare i conti.
Siberia
