Su Bruce Springsteen ho scritto parecchio, negli ultimi tempi, ma il tempo, si sa, non è lineare, e capita che certi giorni siano un anno, come diceva il barbuto zio che abbiamo già incontrato.
A maggior ragione il discorso vale per la musica, in molti casi pulsante di vita nel momento dell’ascolto e addormentata quando relegata al silenzio. Le sensazioni che comunica e i pensieri che stimola variano con il tempo, a volte attraverso sentieri tortuosi che allontanano dalle convinzioni già maturate, a volte in spirali infinite che girano sempre attorno allo stesso punto, solo con un’ottica diversa.
Ecco perché le poche righe dissociate scritte quando ancora le RicetteMusicali erano un embrione non hanno più senso di esistere, ecco perché è ora di parlare di nuovo di Bruce e di quella roba che è Born to Run. Perché c’è qualcos’altro da dire. Qualcosa di diverso, forse.
Capita infatti che ogni tanto l’ormai famigerato shuffle del telefono ti rigeneri invece di prenderti a calci, e mentre ti tagli i capelli (si, mi taglio i capelli, a lametta, qualcosa da ridire?) rischi di tagliarti anche il cranio, perché se il momento è giusto e parte BTR è facile farsi prendere dall’enfasi.
Beh, ieri sera il momento era giusto, vai a capire perché.
E’ che poi BTR se mi entra dentro fa una cazzo di fatica marcia ad uscire, e così stamattina, in macchina, ho commesso il sacrilegio di boicottare lo shuffle, farla ripartire, e urlarla di nuovo tutta. Come la prima volta. Come sempre. E ancora.
Perché BTR non si canta. Si urla. Anche la musica.
Potenza pura. Energia che si sprigiona istantanea nell’attimo esatto della partenza, con quella rullata che ti lancia per aria.
Con un testo che in due sole frasi ha già detto tutto.
“Di giorno teniamo duro sulle strade di un effimero sogno americano, di notte giriamo tra ville gloriose su macchine da suicidio”.
Ogni giorno si tiene botta, sudando un pezzo di strada in più, e il sogno americano è quello stesso sogno che si è allargato al mondo, stupido nel non capire in tempo che più che un sogno si trattava di uno spot pubblicitario girato da un pervertito
Ogni notte si cerca di allontanare i problemi quotidiani, lanciati in una folle corsa, un’ansia di riempire lo spazio vuoto che non si è più in grado di gestire.
Correre sulla linea bianca, in continuo bilico tra la fatica quotidiana e i sogni di gloria.
La soluzione è la fuga, vista non come una resa, ma come una piena affermazione di sé stessi, scappando dal rischio di rimanere intrappolati in quel circolo vizioso che i distratti chiamano vita di tutti i giorni.
Ma ogni fuga che si rispetti, reale o fittizia, ha una Wendy che fugge con te, altrimenti non è una fuga, è una stronzata.
Già, c’è sempre una Wendy, che vuoi proteggere, che immagini al tuo fianco, mentre ti guarda come se tu fossi proprio quell’eroe che pensavi di poter essere ma non sei mai stato, e che solo lei può farti diventare.
Quella che proteggerà te a sua volta, a cui puoi confessare di essere spaventato. Quella a cui puoi dire che da solo non puoi farcela, ma che insieme niente è vietato, e la tristezza diventerà sopportabile.
Non scomparirà, questo no, questo mai, ecco uno dei punti fondamentali delle tematiche di Bruce.
Il dolore non si cancella. Si impara a convivere con esso, insieme.
La band asseconda il ragazzo del New Jersey con un muro sonoro che è esso stesso parte integrante di questa viscerale dichiarazione d’amore, speranza e illusione di un futuro migliore.
Parole e musica, intrecciate in una esplosione di energia positiva, con quella batteria che a un certo punto, con il basso che sburla come fosse un fiume in piena, strappa la logica fisica del tempo con un passaggio che nessuno ha mai davvero capito.
Parole e musica, ma non basta, non per me.
Perché ci sono quelle canzoni che vanno al di là del significato delle singole parole messe in fila, e superano anche l’importanza delle chitarre, della linea di basso, del sax, della batteria, delle tastiere.
Sono quelle canzoni che, per qualche mistico motivo, rilasciano dopamina nel tuo organismo. Il cuore accelera, la pressione sale.
Stai bene. Sei vivo e stai… no, non stai bene. Stai da dio.
Penso che ognuno abbia le proprie canzoni di questo tipo. Per me BTR è tra queste.
E quando riparte quel 1, 2, 3, 4, con una potenza che ci potresti illuminare metà mondo, immagino sempre che il ragazzo del New Jersey sorrida, mentre dice a Wendy che un giorno, chissà quando, arriveranno in quel posto dove davvero vogliono stare, camminando al sole.
Ma fino ad allora, i pezzenti come loro sono nati per correre.
Come me, come tutti quelli che ancora ci credono un po’.
Nelle poche righe dissociate scritte un po’ di tempo fa paragonavo BTR all’amore.
E alla fine, sì, c’era ancora qualcosa da dire. Ma non di così diverso. Dopamina, stare bene, speranza.
Avevo ragione. L’amore non si spiega, arriva così, dal nulla.
Ti fa stare bene e basta.
Artisti Stranieri, Bruce Springsteen
Born to Run
