Da come parte una canzone si può capire parecchio.
L’importanza delle prime battute di un pezzo è fondamentale, per intercettare l’umore del brano, quasi a comunicare da subito le intenzioni.
Ricordo con un sorriso il tempo speso a cercare di costruire una canzone i cui primi trenta secondi sembravano dinamite pura. Penso che chiunque si sia messo dietro uno strumento o in bocca un microfono abbia provato questa sensazione.
Quella meraviglia per un inizio così perfetto che devi per forza provare a costruirne qualcosa di definitivo.
Le mie preferite erano le partenze a batteria.
Con quell’1-2-3-4 delle bacchette prima dell’inizio, che era già energia che ti sburlava dentro come quella voglia di correre a braccia alzate che ogni tanto ti viene, e se non fosse così, dovrebbe, che niente come quello ti dice che sei vivo. E magari mentre corri così, urla, anche.
In ogni caso, alcune volte quell’inizio era la partenza di un pezzo notevole, altre volte non rispondeva alle aspettative iniziali, come si sgonfiasse, e ancora più spesso si esauriva in niente. Ma l’emozione era sempre quella.
“Merda, questa spacca”.
Apartment story dei The National è un po’ così, e infatti parte con quelle botte sul rullante, e poi diventa un pezzo notevole, come quasi tutto di questi americani atipici, ma forse sono io di parte.
Rullante, e poi chitarra a saturare l’ambiente, e poi Matt Berninger, con la sua voce che sa di aplomb e Talisker.
Ed è proprio una storia da appartamento, di quelle che possono capitare, in una sera d’inverno.
Sembra di vederlo, con quella faccia annoiata, Matt che dice alla sua compagna di stare ferma un momento mentre prova ad attacarle i fiori al vestito, che ormai è ora di uscire, anche se fa freddo, e che fuori stia nevicando a vento me lo immagino io, ma la scena mi piace, e siete quasi pronti, e il nodo te lo puoi fare da solo.
Matt gioca con i doppi sensi, che in fondo tra legarsi la cravatta e dimenticarsi il perché lo stai facendo possono stare due o tre esistenze, come se quel nodo sia una costrizione dovuta solo dalle necessità, e non dalla reale volontà di farlo, un po’ come la vita sociale, volendo.
E mentre bevi il tuo drink le dici che forse potreste anche stare a casa, che tutto quello che eravate, giovani, vitali, spensierati, sta cambiando, e caspita, sembra che quell’età che fu stia prendendo la rincorsa per lanciarsi giù dal balcone.
Forse è il momento di qualcos’altro, ma il solo pensiero sembra assurdo, e se il tempo della canzone potesse dilatarsi, sarebbe quasi possibile immaginarsi tutto un primo atto di una commedia teatrale, con i silenzi al posto giusto, e le riflessioni esistenziali espresse in pieno.
E’ una presa di coscienza che fa male, sentirsi stanchi e dietro le sbarre di un corpo e di una mente che sentono il peso degli anni, ad aspettare solo che l’inverno della vostra apatia finisca, scuotendovi di nuovo, per vivere un’altra volta, come un tempo era normale fare.
Ma adesso no, adesso è ora di stare abbracciati, ascoltare musica, parlarsi addosso o non dire niente, mentre la radio blatera dei tempi andati, la memoria colpevole torna forse a quel vecchio amore randagio e per niente noioso, e i pensieri si fanno pesanti per i sensi di colpa e leggeri per fare finalmente davvero quello che si vuole.
Ed è come se accettando la situazione, la disperazione facesse un passo indietro, che l’importante è che siate insieme ora, e se qualcuno vi verrà a cercare sarete nascosti dietro al divano, come due bambini, che quando si era piccoli fare quello che si voleva veniva naturale, senza biasimi e condizionamenti.
Viene quasi da ridere, per questo scherzo scemo, come quelle volte che l’imbarazzo vince e rompe gli argini, che sentirsi complici scalda i piedi freddi, e anche il cuore apatico.
E allora secondo atto.
Deal.
Stiamo in casa, tata, sembra che dica Matt.
State in casa, a fare la muffa, finché qualcuno non vi troverà, state in casa a seguire le istruzioni idiote della televisione, che sarà anche che non siete più così giovani, ma il punto vero, alla fine, è che dentro la vostra indole di coppia bastate a voi stessi molto più spesso di quanto non succedesse prima, che la ricerca è finita, per ora, e tutto il contorno dell’essere cool ad ogni costo, del sentirsi sempre in dovere di migliorare ed essere attivi può anche andare a farsi fottere.
Apartment story è il sabato sera che agogni da quando a 12 anni hai visto per la prima volta una persona che ti mescolava qualcosa dentro.
Ed è anche la noia da cui scappi con la stessa forza con la quale la desideri.
Si chiama serenità.
Si chiama punto d’arrivo, e spaventa.
Ma nessuno ha mai detto che sarebbe stato indolore.
Perciò non preoccuparti, è tutto a posto, e starai bene.
Se proprio dovesse andare tutto in vacca, hai sempre il tuo look, e il tuo profumo, come quella nuova occasione che a volte speri di avere, ma anche no.
Artisti Stranieri, The National
Apartment Story
