Se seguite da un po’ le Ricette Musicali, avrete notato la quasi totale assenza di canzoni attuali.
Ammetto la possibilità che ciò sia dovuto agli anni che passano, ma sono sincero quando affermo che non si tratta di un approccio nostalgico alla musica. A me dei bei tempi andati frega sostanzialmente un cazzo, non siamo qui a farci i tirini a vicenda ricordando il passato con quella malinconia fine a sé stessa che fa tanto presa ultimamente.
E’ che a me gran parte della musica di massa di oggi fa proprio cagare. Non capisco le logiche che la guidano, né le dinamiche che decretano il successo di uno su un altro.
Forse sarà che il rock è morto. Forse, ed è un pensiero anche peggiore, è che ne è morta l’indole, quella che ti faceva continuare a provarci anche a costo di picchiarci il muso centinaia di volte, perché più che il successo in sé quello che ti spingeva sul serio era il messaggio che dovevi portare.
Forse, invece, è un momento così, dove il rock è relegato a band validissime ma che non riscuotono il successo planetario raggiunto anni fa da altri grandi artisti.
Sta di fatto che anche questa volta torniamo indietro, in attesa di qualche pezzo più recente, meno mainstream ma con un po’ della stessa anima.
L’anima, ad esempio, del 1995. Che se chiedeste in giro a qualche reduce del periodo quali fossero i gruppi di punta della scena brit-pop, i nomi che verrebbero fuori sarebbero probabilmente due, Blur e Oasis. E poi forse Verve, Suede, Stone Roses.
Personalmente, però, se dovessi scegliere un solo ed unico album del genere, non avrei dubbi. Sceglierei Different Class dei Pulp, quelli un po’ nerd e che venivano da lontano, del frontman Jarvis Cocker, che, guarda caso, ci provava dal 1980 e ci riuscì nel 1995.
Jarvis è uno di quelli che già a vederlo da lontano ti aspetti che sia tra quelli che guidano a sinistra. Se esiste un prototipo di artista anglosassone ha probabilmente la sua faccia. O quella di Pete Townshend, ma questa è un’altra storia. Attorno a lui, gira un piccolo mondo di altri musicisti, a fare, disfare, completare, migliorare la genialità di questa pertica alta e secca.
Nel 1995, al suo fianco ci sono Candida Doyle alle tastiere, Russel Senior e Mark Webber alle chitarre, Steve Mackey al basso e Nick Banks alla batteria. Una line-up così completa e talentuosa da essere naturalmente portata a comporre un autentico capolavoro.
E’ così anni ’90 che fa quasi male, Different Class. Eppure, nonostante le sonorità datate, è raro trovare un disco così omogeneo nel dispensare qualità così alta in ogni brano.
La terza traccia è Common People, primo singolo dell’album, probabilmente uno dei migliori pezzi degli anni ’90. La leggenda in questo caso narra che il brano prenda spunto da un reale incontro di Jarvis con una ragazza alto-borghese, che espresse il desiderio, in vacanza a Londra, di conoscere le persone comuni, di vivere come loro.
Ne è così affascinata che sin dal primo incontro esprime questa volontà di mischiarsi al popolo, e beata sia la spesso vituperata ironia inglese, con Jarvis che vedrà cosa può fare, e per cominciare la porta in un supermercato, che da qualche parte bisogna pur iniziare, dicendole di immaginare di non avere abbastanza soldi per la spesa.
Ma lei non sembra capire, ride, quasi fosse una trovata divertente.
Sotto, il basso si dà da fare, mentre il riff di chitarra si arrotola su tre note e le tastiere accompagnano la voce di Jarvis come fossimo in un videogioco in 2D.
E pensa a come sarebbe affittare un piccolo appartamento sopra un negozio, che fa tanto figo se ci pensi, trovare lavoro in un pub, magari, vivere con le urla degli ubriaconi giù in strada, mentre rientri a casa dopo una serata randagia di sigarette e birra, con un taglio di capelli così ribelle, e un tattoo di quelli da fuck the world.
Immagina questo spaccato di vita comune, bella, le dice, ma anche se ti trovassi nel tuo letto spartano, a notte inoltrata, a smaltire una sbronza vagabonda sotto graffiti che parlano di anarchia e arte urbana, di lotta al potere e vita vissuta, non sarebbe la stessa cosa, non faresti comunque parte della gente comune, perché la differenza è nella possibilità di scegliere, e tu alle prime difficoltà percepite potresti comunque tornare da dove sei venuta.
L’interpretazione di Jarvis, tra parti parlate come in una reale chiacchierata ed esplosioni vocali, accompagnate da un muro sonoro pazzesco, è un crescendo che si placa e riparte, senza in realtà mai diminuire, ma anzi alzando sempre l’asticella dell’indignazione, quasi non riuscisse a restare completamente indifferente ai comportamenti della ragazza.
La scrittura pungente, tra sarcasmo e amarezza, mette a nudo la dicotomia del mondo di quegli anni, e di riflesso del suo figlio degenerato che è il periodo attuale, perché in certi ambienti forse pensare alla vita dei poveracci che tirano a campare senza un reale controllo della propria esistenza, subordinata ad una serie di variabili che devono andare bene per poter continuare a vivere dignitosamente, fa ancora figo.
L’incedere della canzone accumula significato secondo dopo secondo, perché la vita reale non potrà mai essere paragonata alla sua pallida imitazione, e nella voce di Jarvis, nello slide delle chitarre e nella potenza della base ritmica, è evidente una specie di isteria controllata a stento, come un grosso succhiatemelo in faccia ai liberali che travestono di chic l’idea di essere poveri, di conoscere la vita vera, senza mai averne realmente fatto parte, che giocarsi tutto vale solo se non hai una rete di sicurezza, né un posto dove andare.
Come giocare a poker con i soldi finti, come una gita in bicicletta tutta in salita, che al massimo ci dai a mucchio e a tornare a casa è tutta discesa, e la zuppa saporita della tua agiatezza diventa ancora più buona, dopo essere stata in mezzo al popolo.
No, cara, non farai mai parte della gente comune, finché avrai la possibilità di tornare al tuo mondo, ma bada che nessuno ti giudica per quello, e in fondo neanche per il fatto di voler provare a vivere così. La cosa che davvero non ti può venir perdonata è il tuo ritenerlo così cool, così divertente, così caratteristico. E anche quella boriosa aria da persona open-minded, manco potessi insegnare ai proletari come si vive da proletari.
No, non farai mai davvero parte della gente comune, non fallirai mai come capita a loro.
Quindi, almeno, non pensare che sia così facile essere così.
Common people
